Attacchi di panico
La società odierna è caratterizzata da ritmi sempre più serrati e stressanti: esami, colloqui, scadenze, competizione, a cui si aggiungono le ansie da prestazione, la gestione familiare, l’apprensione per il nostro futuro e quello dei nostri cari.
In questo contesto sociale in cui l’angoscia e le preoccupazioni la fanno da padroni, ti sarai certamente imbattuto in qualche conoscente che lamenta di essere soggetto ad attacchi di panico. Magari qualche volta ti sarai persino chiesto se ne soffri effettivamente anche tu.
Ma di fatto, in che cosa consistono gli attacchi di panico? Quanto sono realmente in grado di condizionare la tua vita? Esistono dei rimedi per poterli affrontare o contenere?
Queste sono solo alcune domande alle quali cercheremo di dare una risposta per meglio comprendere uno dei principali disagi che affligge la collettività.
Cosa sono gli attacchi di panico
L’attacco di panico consiste nella comparsa improvvisa di paura o disagio intensi che raggiungono un picco in poco tempo.
Il periodo complessivo di manifestazione ha una durata media di circa venti minuti. In questo lasso di tempo, la persona sperimenta un senso di pericolo imminente e si verificano almeno quattro dei seguenti sintomi, sia fisici che cognitivi:
- palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia;
- sudorazione;
- tremori fini o a grandi scosse;
- dispnea o sensazione di soffocamento;
- sensazione di asfissia;
- dolore o fastidio al petto;
- nausea o disturbi addominali;
- sensazioni di vertigine, instabilità, “testa leggera” o svenimento;
- brividi o vampate di calore;
- parestesie (sensazioni di formicolio);
- derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi);
- paura di perdere il controllo o di “impazzire”;
- paura di morire.
Al termine, segue solitamente una una fase post critica che può durare qualche ora ed è caratterizzata da spossatezza, malessere, scarsa lucidità, confusione e dolori muscolari.
Si parla di attacco di panico qualora si verifichi un episodio circoscritto. Viceversa, in caso di episodi ripetuti e inaspettati, è più corretto parlare di disturbo di panico. Quest’ultimo è particolarmente frequente nel genere femminile e ha due prevalenti età di esordio: la prima, dai 15 ai 19 anni e la seconda, dai 25 ai 30.
Il primo attacco di panico non si scorda mai!
Chi ne soffre, lo sa bene. Di fatto, cosa comporta il disturbo di panico?
Le conseguenze degli attacchi di panico
Chi è soggetto a questa patologia solitamente sviluppa anche la cosiddetta ansia anticipatoria: una preoccupazione persistente per l’insorgere di altri attacchi o per le loro conseguenze. In pratica, la persona interessata tende ad evitare tutte le situazioni quotidiane che reputa “ansiogene”.
Con questo comportamento ottiene un vantaggio a breve termine in quanto si riduce l’ansia. Tuttavia, nel lungo periodo può pagare il prezzo di ripercussioni molto controproducenti. Ad esempio, l’esasperata limitazione della propria vita sociale nel tentativo di fuggire dal senso della vergogna e dalla paura di essere giudicati, qualora l’attacco di panico si verifichi in presenza d’altri.
Un’altra conseguenza del disturbo di panico, che si verifica nel 95% dei casi, consiste nel manifestarsi dell’agorafobia. Questa è definita come l’“ansia relativa all’essere in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile (o imbarazzante) allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un attacco di panico o di sintomi tipo panico”.
La dottrina in particolare individua cinque situazioni potenzialmente agorafobiche:
- uso dei trasporti pubblici;
- trovarsi in spazi aperti, come mercati;
- trovarsi in spazi chiusi, come cinema, teatro o negozi;
- stare in mezzo a una folla;
- andare in giro da soli.
In misura minore (circa il 15%-20% dei casi) possono verificarsi anche manifestazioni ipocondriache: la persona, interpretando in modo scorretto la propria sintomatologia teme di morire anche nell’intervallo di tempo che intercorre tra un attacco di panico e l’altro.
Infine, si possono sviluppare sintomi depressivi secondari, cioè forme di depressione che pur essendo subordinate alla problematica del panico contribuiscono ugualmente a peggiorare il benessere psicofisico.
I motivi degli attacchi di panico
Eventi di vita stressanti e cambiamenti importanti, anche positivi, sono le due principali cause che determinano il manifestarsi degli attacchi di panico.
Tra i fattori “remoti”, detti anche predisponenti, gioca un ruolo importante la cosiddetta sensività all’ansia. Questa consiste in “un insieme di credenze, che la persona sviluppa nel corso della propria vita, inerenti la pericolosità o meno delle variazioni corporee”.
In sostanza, chi ha questa predisposizione, percepisce come potenzialmente dannosi anche sintomi che in realtà sono del tutto innocui. Parallelamente, l’attacco di panico porta a focalizzare maggiormentel’attenzione sul proprio corpo e far si che venga facilmente percepito (talvolta in modo ingannevole) qualunque cambiamento del proprio stato fisico.
La presenza congiunta di entrambi i fattori porta dunque al manifestarsi di quello che viene definito un vero e proprio “circolo vizioso del panico”. Più ci si concentra sul proprio corpo, più si percepiscono variazioni che vengono interpretate in maniera negativa o addirittura catastrofica. A sua volta l’aumento dello stato d’ansia esaspererà i sintomi che diventeranno una conferma delle proprie tragiche convinzioni iniziali.
Insomma, è facile comprendere che se sottovalutato o peggio ancora non curato, il disturbo di panico può condizionare gravemente il benessere di chi ne soffre, rendendo la persona impotente e incapace di gestire la propria vita.
Ma non disperare: un modo per interrompere questo circolo vizioso c’è!
Quali sono le possibili cure?
Sul disturbo di panico si può intervenire con il metodo psicologico o psichiatrico.
In ambito psicologico l’approccio cognitivo comportamentale è quello che si è dimostrato più efficace, perché incentrato sulla rottura del “circolo vizioso del panico”. Lo scopo principale consiste nel ridurre gli episodi di panico fino alla loro eliminazione e nell’insegnare al paziente a gestire i fattori che ne influenzano la comparsa.
Questo viene fatto attraverso:
- l’analisi degli episodi di panico, cercando di risalire al primo per poi definirne l’evoluzione e contestualizzare il problema all’interno della vita del paziente;
- l’analisi dei fattori di innesco e mantenimento del problema per meglio comprenderne il funzionamento;
- l’insegnamento di modalità di gestione dei sintomi cognitivi, al fine di modificare i pensieri catastrofici legati alle sensazioni fisiologiche. L’obiettivo finale è quello di non considerare più come minacciosa ogni variazione del nostro corpo, caratteristica dell’attacco di panico;
- l’insegnamento di tecniche di rilassamento e di gestione dell’ansia.
In ambito psichiatrico, il medico valuta se è necessario somministrare dei farmaci al paziente. Tendenzialmente per trattare questo disturbo vengono usati gli SSRI (inibitori della ricaptazione della serotonina), che fanno parte della classe degli antidepressivi e le benzodiazepine, un gruppo di farmaci che rientra nella categoria degli ansiolitici.
A differenza del metodo psichiatrico, il vantaggio di quello psicologico consiste nell’agire direttamente sulle cause del disturbo e non solo sui sintomi, rendendo ogni intervento maggiormente risolutivo. Tuttavia è bene tener presente che nei casi più gravi e sensibili può anche rendersi necessario l’utilizzo di entrambe le tecniche.
Il disturbo di panico può compromettere notevolmente il benessere della persona. Imparare a riconoscerlo e a gestirlo, attraverso l’aiuto di un professionista, rappresenta il primo passo per riprendere in mano la propria vita.
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